Papaveri e grano

Papaveri e grano

sabato 29 marzo 2014

Un giorno vissuto pericolosamente

Tutto è cominciato come nei più classici film di fantascienza: con un incontro ravvicinato del terzo tipo.
Oppure, per il pubblico femminile, come nelle più belle fiabe d'amore: con un bacio breve, ma intenso ed appassionato, tra il mio alluce e il frigorifero dell'ufficio. E gli è pure piaciuto. Al frigorifero.

La mia mamma me lo diceva sempre: "basta con tutto quel cibo e stai lontano dal frigorifero. Ti fa male!". Mai previsione fu più azzeccata oserei dire...

Comunque...dopo un'attenta e accurata analisi delle condizioni del mio "primo dito del piede destro" (come da definizione della cartella clinica), ho riscontrato una certa difformità nella sua naturale posizione e un'inclinazione vagamente poco salutare e giusto un pochino dolorosa. Ho optato quindi per un primo intervento altamente specializzato di chirurgia, prendendomi l'alluce tra pollice e indice e riportandolo alla sua corretta posizione, condendo il tutto con un paio di lacrimoni e sale q.b. (il referto cita: "il paziente si è autoridotto la frattura portandola da scomposta a composta").
Giretto a casa dei miei (sia mai che salto una cena preparata dalla mamma), e al ritorno a casa mi preparo un bel mojito da tenere sopra il dito (perché il ghiaccio fa bene, la menta rinfresca e il lime dà quel profumo in più alle lesioni...) che raggiunge temperature prossime al congelamento dell'inferno. Antidolorifico come spuntino di mezzanotte e bendaggio "alla carlona" per tenerlo bello saldo.
Il giorno dopo: un fiore! Poi mi sveglio. E sento le pulsazioni del dito che raggiungono i nervi del mio (ormai scarso) cuoio capelluto. Salto giù dal letto con fare baldanzoso. Mi pento di tanta baldanzosità. Mi strascico fino al lavoro, e la scarpa antinfortunistica è molto meno salutare di quello che pensassi. Dopo quattro ore di claudicanza, il mio capo ritiene sia cosa buona e giusta mandarmi al pronto soccorso a farmi vedere.
E qui comincia il mio viaggio nella bolgia dei ricoverati...

Arrivo all'ospedale di Treviglio, e in quei 10 minuti di tragitto in auto vengo chiamato 3 volte per allarmi di malfunzionamento al lavoro. Parcheggio, e dal posto auto all'ingresso dell'edificio mi esibisco in una magnifica performance di Gamba di Legno, con annesso imbruttimento e faccia incazzosa. Mi fermano prima della porta un paio di ragazzi dell'associazione "padri senza lavoro" e, prima di portar la mano al portafoglio, ricordo che il qui presente "ingegnere con alluce dolorante" forse non ha neanche i soldi per pagare il ticket. Glisso in modo imperturbabile e rimando il tutto alla mia uscita, confidando nella Provvidenza. Di riuscire ad uscire ancora, intendo...


Giungo, dopo 8 km di corridoi e rampe, in quel luogo di perdizione che la gente si ostina a chiamare pronto soccorso. Sgomito e mi faccio largo tra anziani in fin di vita, amputazioni, appestati, febbre gialla. Non son particolarmente fiero del gesto, ma faccio pure qualche sgambetto ad un paio di vecchi col girello.
Allo sportello mi accolgono col sorriso che si trasforma in una risata trattenuta a fatica quando spiego l'accaduto. Mi viene almeno elargita la gentilezza di sprecare le fragorose risate dopo che ho svoltato l'angolo e varcato la soglia della sala d'aspetto, col mio bel codice verde in mano. Di fronte a me, ora, la porta dell'attesa e della vergogna: "Sala Bassa Emergenza". Come a dire: "ti visitiamo giusto perché siamo tenuti a farlo, ma sei così poco importante da non meritare neppure la nostra attenzione. Neanche quella media".
Durante l'attesa, dopo onesti 20 minuti da quando ho varcato la soglia d'ingresso dell'ospedale, arriva la chiamata del capo: "a che punto sei?". A posteriori, mi viene da pensare che non abbia mai avuto bisogno di venire in pronto soccorso...


Mi si aprono i primi cancelli del pentimento. Via la scarpa, via il calzino (senza buchi, per l'occasione). Prima diagnosi: accomodarmi in radiologia.
La radiologia è ovviamente dietro l'angolo. Dietro un angolo. Dietro un angolo. Dietro un angolo. Dietro un angolo. Ecco, ci siamo arrivati!
M'assettoto. Attendo. Mi chiamano. Via la scarpa, via il calzino. Il mio piede posa per tre scatti ("frontale", "laterale" e "selvaggio! dammi più selvaggio!") per la rivista "Frattura Oggi". Torno ad attendere. Venti minuti dopo di risposte a chi mi faceva gli auguri in anticipo, mi piantano in mano il primo referto: "Frattura plurilineare della falange prossimale del primo dito del piede destro". Invoco il Santo Protettore degli Elettrodomestici. Mi risponde: "lo Sforzo è potente in te". Lo re-invoco per un dialogo più colorito.


Torno allo sportello del pronto soccorso, sventolando in mano il mio foglietto nuovo di zecca, che sembro il Bimbo Gigi.
La sportellista mi guarda.
Lancio di dadi: 6. Torna indietro alla prima casella.
Vado a sedermi di nuovo davanti alla porta del Destino "Sala Bassa Emergenza".
Esce la stessa sportellista (probabilmente possiede il dono dell'ubiquità. Annotare in calendario: ucciderla il prima possibile). Mi dice: "Segui la linea blu, ascensore, terzo piano, a sinistra, sala gessi". Mi chiedo perché non poteva dirmelo subito allo sportello, ma ho paura dell'eventuale risposta.
Alzo gli occhi al cielo e chiedo: "ma siamo sicuri? Proprio sala gessi? Non è che posso andarmene con le mie gambe".
La risposta è confortante: "Sì, sala gessi".
Tergiverso: "Ma non è che ci può essere una soluzione meno...ostacolante?".
Salomonica: "Di solito le dita dei piedi non vengono ingessate, ma lei non ha rotto l'ultima falange, ma quella prima. Quindi è molto probabile necessiti di gesso".
Seguo le indicazioni, da bravo paziente.


E così giungo nella sala d'attesa della sala gessi. Davanti a me non c'è nessuno. La cosa promette bene.
Attendere prego.
...
Attendere prego.
...
Attendere prego.
...
Attendere prego.
...
Attendere prego.
...
Passa un'infermiera davvero poco simpatica, che mi prende per il culo e mi dice: "ad andarti di lusso esci fra tre ore". Sibillina. Mai previsione fu più esatta. La odiavo prima, ora me la faccio venire simpatica giusto per poterla odiare nuovamente ancor più di prima!


Attendere prego.
...
Attendere prego.
...
Attendere prego.
...
Attendere prego.
...
"Tu arrivi dal pronto soccorso?", "Sì!", "Ok".
...
Attendere prego.
...
Attendere prego.
...
Attendere prego.
...
Attendere prego.


Mi chiamano. Dopo due ore in cui riesco a scaricare il tablet e il cellulare per spiegare agli amici di Facebook che quello non è il giorno del mio compleanno e che mi stanno menando un po' di sfiga aggratisse, giungo finalmente alla tanto agognata sala gessi.
Via la scarpa, via il calzino.
Palpugnamenti.
"Qui ti fa male?". Esprimo il mio dissenso in almeno quattro lingue, due delle quali non credo siano mai state udite da orecchio umano.
"Si può evitare gesso e steccatura? E magari avere in blu elettrico e full optional?".
Mi guardano schifate. Chiedere il "niente gesso" in ospedale è come andare dal gelataio ed ordinare "un cono, ma senza gelato".
Mi infiocchettano alluce e secondo dito come fossero due amanti, perché "ciu is megl che uan", spiegandomi la procedura tecnica per rifarlo a casa. Le osservo con sguardo di scherno: sono un ingegnere! Credono davvero che non riesca a rifarmi la bendatura?!?!? Siamo proprio caduti in basso...
Si complimentano con me del mio laborioso primo soccorso.
Prognosi: tra 10 giorni nuovo controllo, 1 mese di piede a riposo.
Torno al pronto soccorso, dove tutto è cominciato. Riesco a farmi ridurre la prognosi da 30 a 15 gg (temendo le frustate del mio capo se gli avessi detto che dovevo star fermo un mese).
Bacio sulla bua e ci rivediamo tra 10 giorni. "Mi raccomando, tieni il piede fermo".
Non faccio a tempo ad uscire dal pronto soccorso che mi chiama il tecnico della manutenzione dell'impianto. "Ti disturbo?", "No tranquillo, intanto ho tempo".

Esco dall'ospedale. Sono passate quattro ore per mettermi un cerotto, che se lo prendevo a casa era anche più bello e aveva i disegni dei Puffi.
Però sono spariti quelli dell'associazione "padri senza lavoro".
Ospedale 1 - Associazione benefiche 0.

PS: forse avrei dovuto porre più attenzione alla tecnica di bendaggio praticatami in sala gessi...


...

Ore dopo arriva un messaggio al cellulare:
"Allora? Come è andata? Che ti hanno detto in ospedale?"
"Tanti auguri per domani..."

2 commenti: